Sono giorni che mi imbatto in questa frase. Una citazione che mi ha colpito subito. La leggo una volta…due…spunta sempre in quei frammenti di giornata in cui riesco a respirare un attimo tra una corso e l’altro… tra un’asse da levigare e un comodino da accomodare… eccola di nuovo… “Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno”.
Adesso devo sapere chi è l’autore di questa citazione…
Cerco…
scopro…
sbuffo…
Si sbuffo! Perché????!?!?!
Perché questa frase è del signor Vincent Van Gogh!
Sono un po’ delusa devo dire la verità.
Mi sarei aspettata un visionario pacioccone come Mirò…
Un romanticone mielenso come Chagall…
Invece no. Vincent Van Gogh. Lui. Rozzo, ribelle e asociale come pochi… mi spara sta frase. Ma ti pare! Cerco nuovamente su fonti autorevoli come “aforisticamente.com” o “frasi celebri.it” e niente…è proprio sua.
Sta cosa non mi fa dormire. E’ domenica mattina. Ieri sera sono uscita e fatto l’una tra una cosa e l’altra. Mi sveglio e mi viene in mente sta frase. Ancora una volta. E’ necessario prendere in mano la situazione. Ed eccomi qui…che riprendo le redini del mio blog e ricomincio a scrivere. Mai mi sarei aspettata di riprendere proprio da lui. Ma si sa l’arte è imprevedibile…quindi lasciamoci trasportare da questo raptus Vangogghiano… e procediamo con la ricerca.
Non so se si è capito… a me Van Gogh…mmm…insomma…diciamo che…ecco: diciamo che non rientra esattamente nella mia super classifica show…
Se provo ad analizzare la natura psicologica di questa mia “antipatia” ammetto che è più imputabile alle mostre a lui dedicate che ho avuto modo di visitare negli ultimi anni…più che al povero Vincent e alla sua pittura. Forse è diventato un po’ troppo protagonista di quelle esposizioni dedicate ad una società di massa e non ad un pubblico pensante e sensibile all’arte. Che paroloni…
Mi spiego meglio…esistono secondo me autori che rientrano in una categoria che io definisco “i paraculati dell’arte” in cui la singolarità dell’artista, la sua fama si uniscono al successo a livello di marketing e mass media e una buona dose di trend del momento. Sono i “mai più senza” dell’arte. Sono quell’abito total black che DEVI avere nell’armadio perché ti salva quando vieni colpita dalla sindrome “non ho niente da mettermi”.
Questi artisti sono l’asso nella manica nelle conversazioni medie tra gente media.
– “Ah sono andato alla mostra di Van Gogh ieri”
– “Eh com’è? Anche io vorrei andare!”
– “ah bella!
-“eh allora ci andrò. A me i papaveri di Van Gogh piacciono tantissimo!”
FINE.
Di fronte a queste conversazioni le mie orecchie subiscono una sorta di prolasso…e cadono suicide sul pavimento.
E senza volerlo ci si ricollega ad un famosissimo episodio della vita di Van Gogh. Quando una sera tra una pennellata e l’altra decide di tagliarsi un orecchio. Le versioni legate a questo gesto sono le più disparate. Qualcuno sostiene che dopo essersi amputato l’orecchio, lo avvolse accuratamente in un candido tovagliolo e con amore lo portò ad una donna, forse una prostituta. Altri lo collegano ad un funesto litigio con l’amico Gauguin, altri ancora alla notizia del matrimonio del fratello minore Theo. Lieta novella che Vincent prese benissimo mi dicono.
Ma si sa, la verità sta nel mezzo:
Il giovane Theo, come consuetudine del tempo, chiese al fratello maggiore il benestare alle nozze. Il tenero Vincent anziché gioire per il fratellino, se la prese a morte perché ebbe il timore di perdere il sostegno economico del fratello, giovane mercante d’arte per altro. Il giorno stesso in cui ricevette la lettera del fratello ebbe la famosa litigata con il compagno Gauguin e fomentato da questa lite si mozzò l’orecchio. Nonostante la profonda ferita si recò in una casa di tolleranza, dove consegnò, avvolto in un foglio di carta, il lobo insanguinato a una ragazza, forse una prostituta. In seguito a quell’episodio Van Gogh fu ricoverato e tenuto in isolamento per due settimane. “Presto torneranno i giorni belli, e io ricomincerò a occuparmi di frutteti in fiore”, scrisse al fratello Theo.
E qui si ritorna alla sua doppia personalità. Al suo evidente malessere. Leggo, mi documento e scopro che l’antipatico Vincent viene considerato il “pittore malato” per eccellenza! Sono sorpresa e sinceramente dispiaciuta. Continuo la mia ricerca. “Vittima di periodi di crisi caratterizzate da allucinazioni e attacchi di tipo epilettico che lo portavano poi in periodi di profonda depressione, ansia e confusione mentale. Ci sono stati molti studi sulla malattia di Van Gogh. Tra questi è quella proposta da Arnold (1992), il quale riscontra nei sintomi dichiarati dal pittore una somiglianza con quelli propri di una rara malattia eridataria: la porfiria acuta intermittente.” (per chi volesse approfondire l’argomento).
Leggendo queste pagine scopro un nuovo Van Gogh. Riesco finalmente a vedere oltre a quell’artista sfruttato da certi curatori di mostre (non faccio nomi) per incassare soldi più che per educare persone. Scopro un uomo profondamente turbato, sofferente, angustiato da una malattia che non gli da tregua ma che per ironia della sorte gli permette di dipingere capolavori.
Scopro Vincent Van Gogh e la sua sensibilità imprigionata. Che grida attraverso pennellate vorticose, tormentate, dense di colore. Attraverso prospettive distorte, allucinate. E non posso far altro che provare profonda tenerezza per un uomo che ha combattuto una vita contro i fantasmi di una mente malata che ha trovato come canale di vita l’arte. La sua pittura che è rimasta al suo fianco fino alla morte, voluta e compiuta nel “suo” campo di grano.
Oggi faccio una promessa a me stessa e a te caro Vincent. Leggerò altre pagine a te dedicate. Osserverò i tuoi dipinti con occhi diversi. Proverò a guardarli con i tuoi occhi, dalla tua prospettiva. Farò miei i tuoi turbamenti per entrare nella tua arte. Sentirne il sapore. Parlerò di te con entusiasmo. E chissà magari qualcuno che sta leggendo queste righe in questo momento proverà le stesse mie emozioni e si avvicinerà a te e ai tuoi capolavori con una nuova riflessione.
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