Gli articoli del mio blog non sono mai programmati. Nascono principalmente da esperienze che in qualche modo mi hanno colpito. Qualche giorno fa ho concluso la lettura di un libro: “Rosso Parigi” di Maureen Gibbon. Questo romanzo racconta l’incontro tra Edouard Manet e Victorine Meurent colei che diventerà la sua musa per capolavori come l’Olympia e Le dejeuner sur l’herbe. Da qui la curiosità di approfondire, di conoscere meglio Manet, colui che venne definito dai suoi contemporanei l’imbrattatele, le stesse tele che oggi possiamo ammirare in musei quali il d’Orsay di Parigi.
Evidentemente a costoro è sfuggito qualcosa. Oggi infatti viene considerato come uno dei più grandi pittori francesi, colui che ha modificato le tecniche e i modi di rappresentazione pittorica, in maniera tale da rendere possibile l’Impressionismo, movimento che ha dominato la storia dell’arte durante quasi tutta la seconda metà del XIX secolo. Manet lo si può definire realmente il precursore, colui che l’ha reso possibile, anzi probabilmente è colui che ha aperto la strada a tutta l’arte del XX secolo. Eppure all’epoca il suo modo di dipingere non fu capito. Manet non accetta la rigida postura con cui i modelli vengono ritratti tradizionalmente, la considera innaturale e ridicola. Decide quindi di dipingere i suoi soggetti in atteggiamenti quotidiani, tenere una resa più realistica. La sua sperimentazione artistica nasce dallo studio di maestri quali Giorgione, Goya, Velazquez e Tiziano. Innovatori, promotori di un’arte che supera il confine del mero simbolismo, del dipinto come oggetto ornamentale. A 28 anni viene accettato al Salon del 1861 con il dipinto “Il guitarrero”, ottenendo un grande successo che sembra sancire l’inizio di una brillante carriera artistica. Pia illusione.
Qualche anno dopo, nel 1863 si candida con Le dejeuner sur l’herbe. Gli accademici questa volta rifiutarono con decisione l’opera che trovò invece spazio al Salon des Refusés ideato da Napoleone III per accogliere le opere di tutti gli artisti che vennero rifiutati al salone ufficiale. E qui dovremmo aprire un capito a parte per il buon Napoleone III e per la sagace intuizione che ha permesso a questi poveri “rifiutati” di mostrare ugualmente le loro opere e trovare uno spazio considerevole se non fondamentale nella storia dell’arte. Ma torniamo al nostro Manet e alla sua colazione sull’erba.
Prima di tutto ci troviamo di fronte al suo dipinto più grande in termini di dimensioni (208×264 cm). Il sogno di ogni pittore! Poter dipingere figure di grandezza naturale. I soggetti sono quattro, due uomini e due donne. Peccato che tutti, ma proprio tutti, i suoi contemporanei e noi stessi notiamo per prima la donna nuda e poi tutto il resto. Provate anche voi. Distogliete per un attimo l’attenzione dalle mie parole e osservate il dipinto. Il suo corpo nudo è come un faro nella nebbia. Attira immediatamente la nostra attenzione soprattutto per una questione coloristica. Il pallore delle carni, così sode e ben tornite si stacca completamente dallo sfondo e dagli altri soggetti che popolano in sordina il dipinto. E’ lei la protagonista indiscussa. Ammaliati dalla sua presenza cerchiamo nel suo stesso corpo il titolo del dipinto, Le dejeuner sur l’herbe. Siamo in cerca di una spiegazione, qualcosa che stabilisca il senso di questa presenza. Un simbolismo, una sorta di iconografia che però non esiste. Le dejeuner sur l’herbe è la scena ritratta, non il soggetto.
A differenza dell’Olympia in cui l’opera richiama chiaramente alla donna ritratta. La stessa modella, che passerà alla storia come la puttana, la prostituta che riceve il mazzo di fiori da un amante o quella che, nella colazione sull’erba, probabilmente ha concesso o concederà le sue virtù agli uomini accanto a lei. Perché tutti pensiamo a questo. Non certo che abbia appena fatto un bagnetto nella Senna prima di fare colazione insieme ai suoi amichetti della domenica…
Nessuno può rimanere indifferente a questa donna. In entrambi i dipinti lei ci guarda. Ci sfida, cerca la nostra attenzione. Il suo è un invito a partecipare.
Attenzione però, questo non fa di Manet un artista provocatorio. Emile Zola disse: “vi troviamo personaggi di tutti i giorni, che hanno il torto di avere muscoli e ossa, come tutti”. Lui rappresenta il vero. Manet aveva preparato con cura questa composizione. Formula il progetto dell’opera guardando alcune donne nuotare nella Senna: “Pare che io debba fare un nudo. Sia, lo farò, in un’atmosfera trasparente e con persone come quelle che vediamo laggiù”.
Introduce parecchie cose che si possono considerare segni evidenti di provocazione. Il soggetto non è scandaloso a priori, ma il contrasto tra la giovane donna nuda accanto a due uomini vestiti con abiti cittadini è imbarazzante per i contemporanei. Il suo problema o elemento distintivo come lo definisce ancora Zola, è il suo temperamento. Un temperamento moderno, forse troppo moderno per l’epoca. E’ un temperamento secco, che penetra in profondità, proprio come la donna ritratta.
E’ consapevole Manet, “Mi stroncheranno”, confida ad un amico. Ma è più forte di lui. “Io sono del mio partito, del partito della vita e della verità”. Per questo è impossibile non sentirsi coinvolti, in qualche modo chiamati in causa dai suoi dipinti. Un coinvolgimento che va oltre il ruolo del fruitore, ma che ci rende partecipanti attivi della scena. Lei ci chiama. Potremmo entrare nella scena e consumare la colazione con loro…oppure potremmo lasciarci sedurre da Olympia, senza distinzione, uomo o donna potremmo far parte di questa realtà. E’ questo quello che vuole Manet. Siamo tutti fatti di muscoli e ossa. Siamo tutti uguali. Nel profondo del nostro cuore e delle nostre intenzioni. Forse è proprio questo che ha scandalizzato i suoi contemporanei. Smascherati dalla loro umana imperfezione. Smascherati dalla nostra naturale umanità.
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